La parte più bella

di Anna Cadoni

A lungo, mi sono coricata di buonora.

Se c’è una cosa che per me non è mai cambiata, nel corso della mia vita, è che mi è sempre piaciuto dormire. Non l’ho mai reputata una perdita di tempo, un intervallo tra le due vite da sveglia o la mera maniera per recuperare le forze per affrontare una nuova giornata. Quando ho fatto la mia prima notte sveglia in giro con gli amici a quindici anni, il giorno dopo ho dormito per dodici ore di fila. Non ho mai capito come fanno quelle persone che stanno fuori tutta la notte e il giorno dopo fanno cose. Quando ero piccola mi svegliavo nel pomeriggio inoltrato e ci voleva un po’ per capire dove mi trovavo, rimanevo appesa tra quei due stati che non fa mai bene mischiare, il sonno e la veglia. E poi quando andavo a letto era ancora più bello non essere stanca morta, perché tutto quello che viene prima di addormentarsi, quella è la parte più bella. Ora quella parte più bella non c’è più, perché che cosa te ne fai in tempo in cui puoi stare a letto tutto il giorno? In cui il sonno diventa difficile da trovare, le testa si dilata e ti ritrovi alle quattro del mattino, stesa, sveglia. A contare quel tempo che non passa. È passato un mese, ormai. Ho pensato al tempo, a quella sostanza che ci sposta da una parte all’altra dell’esistenza. Non è nostro, il tempo, noi ci abitiamo e basta. E quello che ci rimane da fare è vederlo scorrere e infilarci ogni tanto qualcosa di nostro.

Alcuni giorni sono buoni. Scrivi e leggi e ti ritrovi come quando avevi diciannove anni e creavi storie come ti alzavi di mattina. E leggi con la stessa passione di quando, per la prima volta, hai letto quel romanzo che poi è diventato il tuo preferito di sempre, per sempre. Alcuni giorni non sono buoni, e ti mancano le cose più stupide, tipo le parole, il senso e l’aria. Quelli sono i giorni che si contano più numerosi, perché sai che senza quelle cose stupide non vai lontano. Ho violato la quarantena, l’altro giorno. Ho iniziato a camminare alle due del pomeriggio per Garbatella e mi sono ritrovata in posti che ancora non conoscevo. E che ho amato moltissimo, in questi giorni, tipo il giorno di San Patrizio, che di solito lo festeggio con la Guinness e lo festeggio ubriaca e invece questa volta passeggiavo con una nuova faccia amica, a guardare le scuole e le case e le chiese del fascismo. L’altro giorno ho violato la quarantena perché sentivo che l’aria mi mancava. Non che l’aria non arrivi, al primo piano di questa casa di Roma, di questa casa piena di fronde e di ombra di Roma, ma mi mancava l’aria che puoi respirare. Mentre camminavo tra un centro sociale e una casa occupata, ho letto una scritta: “You cannot be free alone” e mi ha preso come ti prendono quelle frasi vere e brevi a volte, che vorresti fartele tatuare. Mi ha ricordato quelle frasi che mi piaceva scrivere quando ero a scuola, sul quaderno ad anelli, quelle frasi piene e vuote. Non puoi essere libero da solo.

Questa Pasqua sarà lontana da casa; mi ero ripromessa di non farlo più, di non passare più le feste lontano da casa, se non per necessità. Perché io l’agnello non lo mangio ma dà comunque quella bella sensazione, sentire che l’agnello c’è. E quest’anno ci inventeremo qualcosa, in questa casa frondosa e ombrosa, che tra poco si potrà stare in veranda e leggere e studiare lì. Mia nonna faceva il pane con l’uovo in mezzo per Pasqua, quando ero piccola. Mi chiedevo come facesse a non scoppiare l’uovo, lì dentro, e ancora me lo chiedo. Sono quelle cose che non ti spieghi, quando sei bambina, e ti vanno bene lo stesso.

Quest’anno sarà diverso per tutti quanti, per alcuni sarà peggio, tipo per quelli che non hanno più un lavoro, che non hanno una casa dove fare la quarantena e un forno dove fare il pane. Quelli che non hanno un’assicurazione sanitaria in America, quelle e quelli che non possono vivere la loro libertà sessuale e di genere in Ungheria, quelli che non hanno il diritto alla vita in Palestina. Si sta peggio in molti posti diversi dal nostro, e quindi non dovremmo lamentarci, ché davvero si sta molto peggio. Eppure una cosa del genere proprio non ce la aspettavamo, nessuno se la aspettava.

E io l’ho sempre desiderato, nella vita, un periodo così lungo per leggere e studiare quelle cose che non ho mai avuto il tempo o la voglia di leggere e studiare, ché c’è sempre una scusa. Ma non così, così mancano cose più immediate. Manca: la sveglia la mattina per un motivo, il caffè nel latte per un motivo, manca vestirsi per un motivo. Mancano il trucco, le lenti, i vestiti comodi di mattina e scomodi di sera, la camminata per le vie che sono diventate familiari. L’aula studio e la pausa caffè e quelle nuove persone che sono diventate essenziali, ché non bisogna smettere mai di conoscere nuove persone, che poi diventano le persone di una vita. Manca la strada che si fa su un pullman sempre in ritardo verso la stazione, verso l’aeroporto, verso casa, verso il cane, mamma, papà, sorella, zie, zii, cugini, nonna. Manca la coccoi prena di mamma e la pizzetta sfoglia e la banalità di mettersi le chiavi in tasca, mettersi sul sellino e partire verso via Roma, verso quelli di una vita, ché quelli mancano sempre, anche se non glielo dici mai abbastanza. Manca quell’abbracciarsi e quel dirsi ti voglio bene e ti amo che non dici mai abbastanza perché non hai il coraggio, non hai voglia e poi ti dicono anche, che è perché sei capricorno.

Poi ci sono le cose che hai ritrovato, anche: scrivere. Mancava scrivere, buttare dieci parole su una pagina e vederle diventare belle, formate, una bella frase. Mancava passare del tempo a non fare niente, a parlare per sforzarsi di riempire vuoti. Mancava disegnare col carbone, con la sanguigna, con l’inchiostro, le facce e le labbra, i piedi e le mani, le finestre, le stanze, i tavoli. Mancava cucinare così, per farlo, e cucinare cose buone, e schifezze e riderci su. Manca: viaggiare, su un camper, in un ostello, su un treno. Mancava sperimentare, su tutto; ci eravamo dimenticati che sperimentare è la cosa più bella del mondo, e ora me lo ricordo di nuovo. Leggere quelle cose che avevamo dimenticato, che non abbiamo mai conosciuto, leggere tanto, leggere sempre, mattina e sera, e ritrovarsi dentro quella storia che sembra scritta per noi, con il solito egocentrismo da lettori. Ritrovarsi a pensare che fortuna, aver fatto quella cosa in un anno che non fosse il 2020, e che sfortuna aver fatto questa cosa proprio ora. E poi sentirsi un’idiota perché, in realtà, sono comunque un’inguaribile ottimista e quindi sono comunque felice di aver fatto tutto quello che ho fatto nel momento esatto in cui lo stavo facendo.  E tornerà la parte più bella.

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